Perché il numero di conflitti armati nell’ultimo anno è il più alto dal 1945. La guerra è una merda.
Perché si parla di “guerra mondiale a pezzi”, perché le crisi internazionali non sono più trascurabili e sono interconnesse da fili più o meno sottili che attraversano l’intero pianeta, e fanno temere il peggio anche nei paesi non direttamente coinvolti. La guerra è una merda.
Perché aumentano le guerre “che non finiscono mai”, i conflitti che perdurano e rimangono attivi per anni, senza raggiungere un accordo di “pace giusta”. La guerra è una merda.
Perché nei conflitti contemporanei i civili sono il 90% delle vittime. La guerra è una merda. Perché c’è un genocidio in corso, avvolto da un silenzio colpevole. La guerra è una merda.
Perché nel 2023 abbiamo speso il 13,5% del Pil MONDIALE in termini di potere d’acquisto per riarmarci: 19mila miliardi di dollari, 2380 dollari per ogni essere umano, contro i 49,6 miliardi di dollari spesi per la pace. La guerra è una merda.
Perché l’azienda Leonardo, il cui maggior azionista è il Ministero dell’Economia, è uno dei principali beneficiari della corsa al riarmo che i Paesi occidentali hanno avviato in risposta all’invasione russa dell’Ucraina, guadagnando una cifra record di 43,35 miliardi di euro. La guerra è una merda.
Perché nel 2023, gli utili al netto delle prime dieci aziende italiane esportatrici di armi sono cresciuti del 45% rispetto al 2021, ovvero di 326 milioni di euro. La guerra è una merda.
Il mondo di oggi ci propone come soluzione quella di dividerci in fazioni e schieramenti, dimenticando che le guerre sono tutte diverse per cause, origini e sviluppi, ma allo stesso tempo sono tutte uguali: provocano morte, sofferenza e negazione di ogni diritto. Il mondo di oggi ci urla che la soluzione a queste guerre è il riarmo, la chiusura dei confini, la costruzione dei muri, un cinico: “Se vuoi la pace prepara la guerra”.
Al mondo di oggi noi rispondiamo che la guerra è una merda. Ce lo insegna il Medio Oriente, ce lo insegnano le vite distrutte e sradicate delle persone che incontriamo in Giordania ogni anno: prepararsi alla guerra vuol dire solo e solamente preparare la guerra.
Fin dalla nascita di Non Dalla Guerra abbiamo ribadito e cercato di ricordare che ogni situazione di insicurezza nasce dal silenzio, dalle discriminazioni quotidiane, dall’assenza di dialogo e dal pregiudizio che la guerra c’è da sempre e sempre ci sarà.
Non Dalla Guerra significa pensare alla Pace non solo come assenza di guerra, ma come rovesciamento di uno status quo oppressivo e ingiusto, da contrastare provando a incidere radicalmente su chi esercita il potere, costringendolo a cambiare rotta. Inventando e dialogando, costruendo e abbracciando, dicendo, come scrive Goffredo Fofi, “noi non ci stiamo”.
Scegliamo quindi di batterci concretamente per far sentire la voce di chi crede che un futuro senza guerre sia possibile, di attivarci nelle piazze, nelle strade, nelle scuole. Scegliamo di smettere di immaginare la pace solo attraverso le sue bandiere e i suoi gessetti colorati e ci battiamo per fermare la produzione e la vendita di armi, accettando la necessità impellente di un cambiamento drastico e culturale nella nostra società.
Lo facciamo con la nostra esperienza in Giordania, che ci ha insegnato che la comunicazione non violenta e lo scambio paritario è possibile e deve essere l’opportunità per una nuova educazione alla pace. Che il dialogo fra diverse culture e background è auspicabile e ci aiuta a sviluppare il concetto di cittadinanza attiva e inclusione, creando ponti invece di costruire muri.
Lo facciamo con i nostri progetti di educazione alla pace nelle scuole, che portiamo avanti per avvicinare le giovani e i giovani alle tematiche della non-violenza, per sviluppare una coscienza critica, sensibile e orientata alle dinamiche democratiche e di rispetto dell’altro.
Lo facciamo attraverso la campagna ‘Vicini di banco’, una raccolta fondi a sostegno di tre progetti – Inclusive education, Drama Center e Informal education – che rispondono alle necessità educative e di socializzazione di bambini/e e ragazzi/e che vivono tra Madaba, Irbid, al Mafraq e al Karak. Lo facciamo perché crediamo che l’educazione sia il principale strumento per creare una società più giusta e che attraverso un sistema educativo aperto a tutte e tutti si possa costruire un futuro migliore, in particolare per chi ha subito e continua a subire le conseguenze dei conflitti.
Perché l’educazione è sempre stata la nostra risposta a un mondo “non dalla guerra” e comprendere le dinamiche umane di disuguaglianza, avere coscienza dei propri privilegi, battersi per appianare le ingiustizie, è il primo passo per poter scardinare quotidianamente il paradigma dominante e riconoscere che la guerra è una merda!
Scegli di essere il cambiamento: UNISCITI A NOI!