Appello per un cessate il fuoco e per il rispetto del diritto umanitario

Nonostante nelle ultime settimane si stia sempre meno parlando di ciò che accade a Gaza e in Cisgiordania, crediamo sia importante sottolineare pubblicamente alcuni concetti e lanciare un appello.

Riteniamo, infatti, che la narrazione predominante a cui siamo stati sottoposti dal 7 ottobre ad oggi sia stata faziosa nella maggior parte dei casi e che abbia contribuito a diffondere nell’opinione pubblica una sorta di distinzione tra esseri umani di serie A – gli israeliani attaccati da Hamas – ed esseri umani di serie B, la popolazione palestinese che da dieci anni subisce le violenze dell’occupazione.

Sulla questione si è detto molto, cadendo quasi sempre in racconti e logiche poco utili alla comprensione di ciò che è avvenuto e che tutt’ora sta avvenendo in Palestina. Abusando dell’espressione “guerra di religione”, ad esempio, ci si è dimenticati che non si può ridurre il tutto a uno scontro tra ebrei e musulmani.

In Medio Oriente gruppi etnici e religiosi convivono da sempre e in Palestina – così come in Israele – si registrano arabi musulmani, cristiani o ebrei, cittadini arabi israeliani e cittadini palestinesi di religione ebraica. La questione, dunque, è esclusivamente politica. Non religiosa.

Come già abbiamo sottolineato, siamo di fronte al frutto di decenni di politiche criminali e pericolose attuate dal sionismo israeliano a ridosso della Striscia di Gaza e nei territori illegalmente occupati della Cisgiordania, che violano le disposizioni del diritto internazionale oltre che gli Accordi di Oslo e Washington.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre pone le radici in 75 anni di occupazione, rafforzata in questi ultimi anni dal governo più di destra della storia di Israele. Crediamo che non si possa parlare di pace senza prima parlare di giustizia.

Cosa chiediamo:

Chiediamo che venga riconosciuto e rispettato il diritto internazionale nelle sue diverse forme, con particolare attenzione alle violazioni del diritto umanitario perpetrate da Israele nelle scorse settimane con il benestare di un Occidente che si sente oggi in dovere di concedere tutto a Benjamin Netanyahu e al suo esecutivo, compresi bombardamenti a tappeto, la targettizzazione dei civili e l’uso del fosforo bianco.

La comunicazione a senso unico portata avanti dall’Occidente non ha fatto altro che giustificare la risposta sproporzionata di Israele e la sua rappresaglia sui civili della Striscia, disumanizzando le vittime dei violenti bombardamenti, rimasti senza acqua potabile, elettricità, medicinali o personale di soccorso in grado di operare in sicurezza. 

Tutto questo mentre a Gaza, in una settimana, sono cadute più bombe che durante un anno di guerra in Afghanistan. In una prigione a cielo aperto dove solo dal 7 ottobre sono state uccise oltre 15 mila persone, di cui 5 mila bambini, e più di 60 giornalisti.

Ci rivolgiamo ai mezzi di informazione facendo appello all’etica e alla deontologia, necessarie ancor di più in questo delicato contesto: affinché nella narrazione le violenze perpetrate da un gruppo armato paramilitare non cancellino le numerose violazioni attuate dallo Stato di Israele.

 

Chiediamo che si riconoscano i confini dello Stato Palestinese, oggi diviso senza continuità territoriale nella Cisgiordania occupata e continuamente minacciata dalla violenza di coloni, armati dagli stessi ministri israeliani, e della Striscia di Gaza.

Chiediamo che i governi che fino ad ora si sono schierati sostenendo ciecamente Israele possano cambiare approccio, tornando a mettere al centro la diplomazia e allontanandosi dalla geopolitica delle tifoserie.

 

Chiediamo che la comunità internazionale torni ad agire per assicurare una mediazione capace di portare ad un cessate il fuoco permanente e alla fine di tutte le ostilità, riconoscendo i diritti del popolo palestinese, finora dimenticato e abbandonato.

È importante che venga riconosciuta la centralità dei principi sanciti dai protocolli della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra. Se è vero che non può esserci pace senza giustizia, è allo stesso modo vero che tutte e tutti noi siamo in qualche modo responsabili di ciò che ci accade attorno. 

Anche le nostre scelte e le nostre posizioni possono contribuire ad un futuro che sia Non Dalla Guerra.