Giordania, crisi idrica tra sfruttamento e disuguglianze

Giordania, crisi idrica tra sfruttamento e disuguglianze

da Amman,  Lucia Dall’Asta, Martina Malaman e Francesco Principe

Con il 90% di territorio desertico, la Giordania è tra i primi Paesi al mondo per scarsità d’acqua. La disponibilità annua di acqua che in media ogni abitante detiene si attesta al di sotto della soglia di scarsità idrica assoluta stabilita dalle Nazioni Unite, ovvero 500 metri cubi a persona.  La situazione di crisi è tale da essere considerata una vera e propria emergenza, che il cambiamento climatico e i delicati equilibri regionali non fanno che acuire.

In Giordania abbiamo assistito e assistiamo ancora oggi ad un aumento notevole della popolazione, soprattutto a seguito del flusso di rifugiati arrivati nel Paese fin dal secolo scorso. La Nakba e la proclamazione dello stato di Israele hanno portato più di 750 mila palestinesi ad abbandonare la propria terra per cercare rifugio nei Paesi limitrofi, in particolar modo in Giordania. Stessa sorte è toccata ai profughi della guerra del Golfo, della guerra in Iraq e dei conflitti più recenti in Siria e Yemen. Dagli otto milioni nel 2010, oggi la popolazione della Giordania ha raggiunto quota undici milioni.

Gli effetti di questa accelerata urbanizzazione, uniti allo sfruttamento del suolo e all’inadeguatezza delle infrastrutture, hanno inasprito quelle che da sempre sono le fragilità del Paese come la siccità, l’aridità del suolo, la carenza d’acqua e l’ubicazione poco strategica delle risorse idriche. Quest’ultime, infatti, si trovano in prossimità dei confini e il Paese è costretto a condividerne l’utilizzo con gli Stati limitrofi come Siria e Israele: ciò compromette l’autonomia della Giordania nell’impiego delle risorse e al tempo stesso, rende il Paese protagonista dei giochi geopolitici dei suoi vicini.

vista su Amman

Gli effetti del cambiamento climatico

Il cambiamento climatico, inoltre, mostra senza esitazioni tutti i suoi drammatici effetti: le piogge sono diminuite, con una media inferiore ai 100 mm all’anno, le temperature si sono innalzate con estati molto calde e l’inquinamento dell’aria e dell’acqua ha raggiunto livelli preoccupanti e impattanti sulla qualità della vita delle persone. Lo stress idrico riversa i suoi maggiori effetti sull’agricoltura – settore cruciale per l’economia giordana – e di conseguenza sulla sicurezza alimentare.

Il fiume Giordano, unica fonte idrica del Paese, ha un flusso che raggiunge a malapena il 10% della media degli ultimi anni e va a sfociare nel Mar Morto, un bacino di acqua salata i cui livelli d’acqua si stanno tragicamente abbassando. Tutto questo non ha fatto che alterare profondamente e gravemente il delicato equilibrio tra le risorse disponibili e le richieste ed esigenze della popolazione.

La gestione delle risorse idriche

Dalla capitale Amman fino alle province, i tetti degli edifici sono distese di serbatoi bianchi: è da questi enormi recipienti che dipende la disponibilità di acqua non potabiledi chi vive in Giordania. Una volta a settimana, se tutto procede come previsto, viene consegnata l’acqua per ogni abitazione. Ciò rende necessario calcolare attentamente il suo utilizzo affinché sia sufficiente fino al settimo giorno successivo, quando è prevista la nuova fornitura. Sovente questo servizio incontra delle interruzioni, soprattutto in estate  quando possono trascorrere intere settimane in cui i rubinetti delle case rimangono a secco. Tutto ciò a fronte di un costo di servizio pubblico che per un’abitazione di 4 persone si aggira di norma attorno ai 200 jod ogni tre mesi, circa 266 euro.

Per quanto riguarda invece l’acqua potabile, a seguito delle imponenti privatizzazioni avviate negli anni 80, ad oggi il controllo e la gestione dell’acqua sono quasi interamente in mano a compagnie private, le quali monopolizzano del tutto i prezzi. A questi si somma l’elevato costo del carburante e quindi un ulteriore rincaro dei trasporti dell’acqua dai confini alle città dell’entroterra. Circa il 40% della popolazione riceve acqua potabile da compagnie private. Quest’ultime forniscono in particolar modo i ceti più benestanti, gli unici che a fronte degli elevati prezzi riescono a garantirsi una maggiore disponibilità di acqua.

Equilibri geopolitici e tensioni interne

È opinione comune tra la popolazione che vive in Giordania che il problema principale sia la continua dipendenza in termini idrici dai Paesi limitrofi, che –  come nel caso di Israele –  presentano un maggior peso geopolitico e superiori capacità economiche, ad esempio nel campo della desalinizzazione. Solo le compagnie private, infatti, avrebbero la capacità di investire su progetti di infrastrutture idriche nel Paese, ovviamente con il supporto delle realtà internazionali e non che stanno dietro alla catena di distribuzione e conservazione dell’acqua in Giordania.

«Accordi e contratti, ma siamo sempre al punto di partenza: incapaci di provvedere autonomamente al nostro fabbisogno, di costruire efficienti infrastrutture, come dighe per raccogliere l’acqua piovana» sono le parole di Reema, 27enne che vive ad Amman. E ancora: «Siamo tutti stanchi e soprattutto da palestinese non tollero che il mio paese continui a fare accordi con Israele» prosegue Reema.

A complicare ulteriormente la già difficile situazione ambientale vi è la delicata politica di spartizione delle risorse tra Siria, Giordania e Israele, con inevitabili e dirette conseguenze sugli equilibri della regione.

Con l’accordo di pace del 1994 con Israele si tentò di avviare una collaborazione che portasse alla costruzione del ‘Canale della pace’ con lo scopo di collegare il Mar Rosso al Mar Morto. Dopo il fallimento di questo progetto, la Giordania ha avviato la costruzione di un impianto di desalinizzazione da installare nel Golfo di Aqaba entro il 2026.

A suscitare gran clamore e numerose proteste tra la popolazione giordana è stata la firma nel novembre 2022, sullo sfondo del Cop 27 a Sharm el-Sheik, di una dichiarazione di intenti tra Giordania e Israele per tutelare il fiume Giordano. Una dichiarazione di intenti con un vicino, Israele, con cui per i giordani ( soprattutto quelli di origine palestinese), è impensabile poter trattare. In base a questo accordo, in cambio di circa 200 milioni di metri cubi di acqua desalinizzata, la Giordania fornirà energia solare.

Se da un lato può sembrare un ottimo punto di partenza per avviare una collaborazione seria e lungimirante nella gestione dell’acqua, dall’altro non si fa che perpetuare una politica che punta alla dipendenza dal vicino e mai alla completa autosufficienza. La Giordania infatti importa circa il 94% del suo fabbisogno energetico e ha come principali fornitori  l’Iraq, l’Arabia Saudita e l’Egitto.

Sullo sfondo di questo disastro climatico, e non solo, si colloca la questione dei rifugiati, spesso additati come i responsabili di questa carenza di risorse. Soprattutto dopo il conflitto in Siria, tra l’opinione pubblica si è fatta avanti la questione del ‘costo dei rifugiati’, strumentalizzata allo scopo di oscurare le cause alla base di questa emergenza.

Sfortunatamente la scarsità idrica, conseguenza di molteplici fattori- tra cui l’assenza di tempestive risposte ai problemi ambientali ed economici e lo sfruttamento del suolo – fa parte di una lista di emergenze già molto lunga, la quale da decenni affligge la Giordania e costringe la sua popolazione a sopportare servizi carenti e a veder ridotta la propria qualità di vita.