14 Nov A Trieste, “non è un gesto umanitario, ma una scelta politica”
Trieste, da sempre luogo di frontiera, è la città che ha ospitato il ritiro associativo 2024 di Non Dalla Guerra. Davanti alla stazione dei treni, in Piazza Libertà, che ora tutti chiamano Piazza del Mondo, abbiamo dato una mano con la distribuzione del cibo alle persone in transito che raggiungono la città dopo aver percorso la rotta balcanica.
A coordinare volontari e volontarie e chiunque voglia mettersi a disposizione c’è Linea d’Ombra, un’associazione fondata da Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir: «Il nostro non è un gesto umanitario, ma una scelta estremamente politica» ci dicono.
Dal 2019 vengono in piazza ogni sera, dalle 19 alle 23 e anche oltre, per accogliere le persone in transito distribuendo cibo, vestiti, scarpe, coperte per la notte e cure infermieristiche. «Quello che vediamo in piazza è il fondo della condizione umana. Sui corpi incontrati si vede la violenza dei confini, la violenza dello Stato».
Nell’ultimo anno sono transitate per Trieste dalle 13 alle 20 mila persone provenienti per lo più da Afghanistan, Pakistan, Iraq, Iran e Bangladesh. Dalle 10 alle 100 ogni giorno: di queste solo il 10% decide di chiedere asilo in Italia. Un ragazzo Afghano ci racconta che gli hanno rifiutato la richiesta di asilo perché lui è della stessa etnia dei Talebani e quindi considerato “non in pericolo nel mio Paese”. Come se fare parte dello stesso gruppo etcnico dei violenti detentori del potere in Afghanistan lo renda automaticamente “al sicuro” da quella violenza.
Assad, invece, che è arrivato a Trieste dal Pakistan, indica ai volontari chi non ha ancora ricevuto la sua porzione di cibo, tenendo un occhio di riguardo per gli ultimi arrivati, o per chi sta in disparte. Viene qui dopo il lavoro tutte le sere e rimane sempre fino alla fine. Fino a quando non c’è più nessuno a cui dare cibo, coperte, scarpe o qualsiasi altro bene di prima necessità.
A qualche metro di distanza, al Porto Vecchio della città, c’è una tettoia che “accoglie” una distesa di coperte e corpi che cercano rifugio per la notte, dopo che é stato chiuso l’ex Silos, una struttura in disuso che prima dava alle persone in transito una sorta di riparo. Tra quei corpi ci sono le cicatrici delle violenze subìte ai confini, i segni indelebili sulla pelle, ma anche negli occhi, che raccontano ingiustizie e diritti negati.
Gianfranco Schiavone, presidente di ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà – Ufficio Rifugiati Onlus), ci ha fornito un quadro del fenomeno migratorio in transito a Trieste e dell’accoglienza offerta sin dagli anni 90, diventata più urgente a partire dal 2022 con l’intensificarsi delle partenze lungo la rotta balcanica. Un servizio completamente in mano alle associazioni, «senza alcun tipo di sostegno». Anche la maggioranza dei gruppi che si mobilitano per dare aiuti materiali non è originaria di Trieste.
«La situazione non è mai stata affrontata con interventi istituzionali, anzi si presenta proprio come frutto di un preciso volere politico che lucra sulla marginalizzazione delle persone migranti e la percezione di insicurezza dei cittadini» prosegue Schiavone.
Nonostante l’insufficiente numero di posti in accoglienza di cui c’è bisogno e l’indifferenza di istituzioni e cittadinanza, Trieste è dal 1998 capofila in Italia del modello dell’accoglienza diffusa, con circa 170 unità abitative che favoriscono l’inserimento nella vita reale del territorio e l’integrazione. Eppure non é abbastanza.
«Li vogliono per strada perché più sono in vista più si sedimenta nel pensiero dei cittadini il fatto che la minaccia di essere invasi sia vera e tangibile. Anche se questa visibilità non funziona sempre, come quando, durante la Barcolana, sono solo state messe delle transenne attorno ai luoghi dove dormono, per essere più facilmente ignorati dalla grande quantità di turisti» racconta una delle volontarie incontrate in piazza. Anche la statua di Sissi che si erge davanti la stazione dei treni, proprio dietro ai tavoli pieghevoli usati per la distribuzione del cibo, è transennata per non correre il rischio che nessuno dei quei corpi “invisibili” vi si avvicini.