27 Feb In Siria si muore ancora
Sulle pagine di quasi tutti i giornali sembra non trovare più spazio. Ma la guerra in Siria non è ancora finita, continua tutt’ora. A pagarne le conseguenze sono ancora una volta i civili. Grazie a Daniele Rocchi, giornalista di AgenSir esperto di Medio Oriente, facciamo il punto su ciò che sta accadendo nel governatorato di Idlib e su eventuali possibili esiti diplomatici.
Il prossimo marzo il Paese del Levante entrerà nel decimo anno di conflitto. Ad oggi sono oltre 500mila le persone che hanno perso la vita a causa di questa guerra. Altrettanti sono i feriti a cui si aggiungono milioni di sfollati, interni ed esterni. Nel Paese in cui la repressione violenta delle primavere arabe da parte del regime di Bashar al-Assad ha portato allo scoppio della guerra civile si continua a combattere nonostante la maggior parte del suo territorio sia tornato in mano alle forze governative, grazie al supporto della Russia.
Da settimane nel governatorato di Idlib, sul versante nord-occidentale, i ribelli siriani si scontrano con l’esercito di Damasco per un’ultima resistenza in una delle zone simbolo della rivolta contro Assad. Da una parte l’opposizione che fa capo ai ribelli filo-jihadisti del gruppo Tahrir al Sham (ex fronte al-Nusra) e all’Esercito Nazionale Siriano (NSA), sostenuto dalla Turchia e dal chiaro orientamento islamista. Dall’altra l’Esercito siriano di Bashar al-Assad, sostenuto da Libano e Iran assieme al prezioso supporto dell’aviazione russa.
A rimetterci, in tutto ciò, sono ancora una volta i civili, continuamente colpiti sia dai bombardamenti russi e siriani, sia dal fuoco ribelle. Negli ultimi giorni i missili filo-governativi hanno colpito indistintamente case, scuole e ospedali. Contemporaneamente la popolazione in fuga ha subìto le violente repressioni da parte dei ribelli supportati da Ankara. Secondo le Nazioni Unite sono circa 900mila le persone che da dicembre si trovano sfollate a causa dell’ultimo colpo di coda della guerra civile siriana nel governatorato di Idlib.
A livello diplomatico, lo scontro tra Ankara e Damasco rappresenta un problema da trattare con le pinze per il Cremlino. Da tempo Putin ed Erdogan hanno avviato un dialogo sul Medio Oriente e il Nord Africa, come dimostrano i colloqui di qualche settimana fa riguardo il conflitto in Libia. Da una parte il generale Haftar, appoggiato dalla Russia, e dall’altra il premier Fayez al-Sarraj, sostenuto dalla Turchia. La crisi libica sta oltrepassando i “semplici” confini regionali, rispecchiando le spesso contrapposte posizioni di Russia e Turchia. Secondo alcuni analisti, Putin ed Erdogan dovrebbero spingere per un cessate il fuoco ad Idlib e rimandare la ridefinizione dei nuovi assetti della regione ad una futura conferenza diplomatica a conflitto concluso.
Questa mediazione diplomatica, che potrà essere guidata proprio dalla stessa Russia, dovrà anche fare i conti con la presenza delle milizie (Ypg e Ypj) curde del Partito dell’Unione Democratica, viste da Ankara come formazioni terroristiche legate al Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kuristan fondato da Adbullah Ocalan nel 1974.